Un’altra crisi del debito africana?

Il continente sul filo del rasoio

Le ragioni del fardello

La pandemia, la guerra in Ucraina, il crollo della domanda di materie prime, i prezzi dell’energia fuori controllo, la crisi alimentare sono nate nell’emisfero nord nel pianeta, ma le ripercussioni più pesanti si fanno sentire nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in particolare nella regione più povera: l’Africa. 

La recessione economica dovuta alla convergenza di molteplici crisi a livello planetario, fa riaffacciare i fantasmi ricorrenti dell’insolvenza sui debiti sovrani e del crollo delle valute in tutto il continente.

Crescita del debito pubblico dell'Africa sub-sahariana pre-pandemia (dati Statista)
  • Una ragione strutturale è il puro volume dei prestiti contratti, somme troppo consistenti rispetto all’economia dei vari paesi, i cui bilanci pubblici non hanno le riserve né riescono a generare risorse per ripagarli ai prestatori internazionali. Ovviamente, avendo difficile accesso ai mercati dei capitali, questi prestiti, in paesi con stati deboli, sono uno dei pochi modi con cui possono finanziare la spesa pubblica, anche se talora, finiscono tragicamente a finanziare le spese delle élites locali.
  • Un’altra motivazione, collegata con la debole statualità dei paesi africani e lo scarso controllo centrale del territorio, è  la cronica incapacità a raccogliere la tassazione che dovrebbe sostenere questi prestiti
  • Una concausa contingente è l’apprezzamento del dollaro americano con cui sono denominati questi debiti, che uniti al deprezzamento delle valute locali rendono molto più costoso ripagare i debiti contratti.  

Il parziale ritiro di Pechino

Com’è noto il principale player in veste di finanziatore e realizzatore delle opere in cantiere è il sistema di imprese pubbliche della Repubblica popolare cinese. Pechino ha una presenza estesa nel continente, ma molte paesi riceventi si vedono ora costretti a rinegoziare i termini dei prestiti con le entità cinesi, con misure drastiche come il taglio del pagamento degli interessi e la sospensione dei progetti non vitali.

Nonostante le ragionevoli critiche all’approccio politico e all’utilità di molte opere, se Pechino si sfilasse, non è chiaro quale altro paese potrebbe prenderne il posto. Al momento i progetti occidentali restano sulla carta e le Banche di sviluppo non sono in grado di sopperire ad una cronica mancanza di finanziamenti, dovuta alle scarse stabilità politica, ai mercati africani che non garantiscono ritorni economici e a un generale disinteresse verso la regione, se non in termini di estrazione delle materie prime.

Con il relativo riposizionamento economico della Cina, che necessita di concentrare le risorse finanziarie nella ripresa post-COVID, è minacciata da una bolla immobiliare e ha annunciato un piano straordinario di infrastrutture, molti paesi africani si sono rivolti al tradizionale prestatore di ultima istanza, il Fondo Monetario internazionale, che ha esteso o rinnovato molteplici le linee di credito.     

Il ritorno del Fondo monetario in Africa

Mappa debito africa
Mappa dei paesi africani a rischio debitorio su dati FMI

All’inizio del 2022 l’FMI, attraverso il suo Direttore generale Georgieva, ha pubblicato un rapporto in cui si affermava che sia nel 2021 che nel 2022 la crescita prevista dell’Africa era inferiore alla media mondiale.

In questo contesto che l’FMI ha intrapreso azioni per sostenere i paesi del continente in un progetto denominato “Stepping up with and for Africa”, prestando denaro a basso tasso d’interesse (0,05%) e termini di restituzione del debito ventennali. Ciononostante, la presenza dell’Africa nel portfolio FMI rimane piuttosto limitata con prestiti per 33 miliardi di dollari a fronte di 650 miliardi complessivi.

Questi interventi però non verranno destinanti a investimenti, ma presumibilmente a tamponare le falle nei bilanci pubblici degli stati africani. La spirale debitoria africana somiglia maggiormente ad uno tsunami crescente che potrebbe strangolare le economie del continente se non affrontate.

La panoramica è allarmante: consultando i dati dell’FMI sui paesi eleggibili per un prestito, si rileva che già diverse stati africani, come Mozambico, Somalia, Ciad, Sudan e Zimbabwe sono già quasi insolventi. Alcuni di essi sono classificabili come “failed states” ma altri abbondano di materie prime.

Secondo le stime del Fondo monetario gran parte dei paesi dell’Africa centro-orientale sono in grave difficoltà a ripagare il debito internazionale,  in maniera tale da comprometterne lo sviluppo. L’Africa occidentale, con la significativa eccezione del Ghana, è a minor rischio debitorio, ma solamente perché, a causa della cronica instabilità politica e del sottosviluppo, gli investimenti sono stati meno rilevanti.

L’aspetto più allarmante è che la depressione economica e l’isolamento portato dalla pandemia, hanno fatto saltare equilibri economici precari anche in alcune delle economie più diversificate e dinamiche del continente, facendo balenare lo spettro di una crisi del debito estero dal Maghreb al Sudafrica.

Nel medio – breve termine, per l’ammontare delle scadenze rispetto alle riserve e per le sfide fiscali in termini di stabilizzazione degli oneri del debito, oltre a un lungo elenco di paesi dell’Africa sub-sahariana, sono emerse le vulnerabilità di alcuni dei motori economici della regione.

Osservare le questioni geopolitiche e militari che attanagliano il continente occorre considerare che la zavorra del debito che, assieme ad altri fattori, contribuisce a tenere le economie africane ad un livello insufficiente a sostenere lo sviluppo demografico.

"... affrontare l'onere dei debiti esteri insostenibili con un impegno globale per l'espansione e l'estensione delle iniziative di sospensione del debito ai paesi che devono affrontare sfide fiscali e di liquidità, nonché la cancellazione totale per i paesi che devono affrontare le sfide più gravi".

I paesi in prima linea

La voce di Menerva

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