Libia: terra di nessuno

Il paese in preda agli interessi delle grandi potenze

La Libia fra Tripoli e Tobruk

Di regioni della Terra caratterizzate da un elevato livello di instabilità ce ne sono parecchie, ma poche possono competere con la Libia. Passata in poco più di un decennio dall’essere un solido stato autocratico ad essere un territorio frammentato e dilaniato dalla guerra civile, della Libia pre-2011 non rimangono che le rovine

Ora, quello che una volta era un organismo statale capace di mettere d’accordo e far convivere tutte le tribù che ne compongono popolazione, cultura e storia, ha lasciato il posto ad un mix eterogeneo di entità autonome più o meno influenti. E, sebbene al momento vi siano addirittura due governi, la situazione è assai più complicata. 

I governi di Tripoli e Tobruk – rispettivamente facenti capo al Primo Ministro Abdul Hamid Dbeibah e al generale Khalifa Haftar – non solo risultano estremamente deboli e frammentari, ma sono pressoché inabili ad agire senza il costante supporto di potenze estere.

Per questo motivo è facile capire perché la Libia, oggi, sia divenuta terra di tutti e di nessuno, dove milizie locali, governi stranieri e potenti organizzazioni criminali si scontrano e si incontrano, in un complesso crogiolo di interessi ed affari miliardari. Le ragioni sono le più svariate. Come facile intuire, al primo posto vi è la grande sfida per il controllo e l’approvvigionamento di materie prime, di cui la Libia dispone immense riserve. 

Gas e petrolio, in questo caso, rappresentano la punta di diamante delle ricchezze nascoste tra la sabbia del deserto. 

Risorse che, tra l’altro, si trovano alla base dell’accordo tra est e ovest – che ha garantito una flebile stabilità all’area nel corso degli ultimi due anni – e rappresentano, in ogni caso, una delle principali fonti di entrate economiche, ora di assoluta importanza per la sopravvivenza della popolazione. Oltre a ciò, ovviamente, c’è l’interesse delle potenze estere per le nuove sfide strategiche.

La guerra del 2011 in Libia
Le operazioni militari della coalizione internazionale nel 2011 in Libia

I vincitori del caos libico: Russia e Turchia

Bayraktar TB2
I temibili droni turchi Bayraktar TB2: hanno determinato la sconfitta delle forze di Haftar nella battaglia di Tripoli

Il costante caos libico ha lasciato immensi vuoti di potere che, in breve, hanno attirato l’interesse di numerosi player regionali. In breve, Turchia e Russia hanno sfruttato al meglio la situazione, andando ad occupare tutti quegli spazi che si erano aperti. I turchi, in particolare, hanno concentrato e concentrano tutt’ora, i propri interessi nel settore occidentale controllato da Tripoli. 

Nel giro di pochi anni, infatti, sono stati capaci di esercitare una presenza determinante – in particolare per mezzo di aiuti militari e numerosi ulteriori accordi – e sono stati capaci di ristabilire un perimetro di sicurezza attorno alla capitale (almeno così riconosciuta a livello internazionale). In questo modo, non solo sono stati capaci di posizionare mezzi e uomini sulla sponda nordafricana del Mediterraneo, ma sono riusciti anche ad ostacolare le crescenti aspirazioni russe nel paese.

Non è un caso, infatti, che l’intervento dei temibili droni Bayraktar TB2 si sia rivelato l’elemento di svolta nella battaglia di Tripoli, che ha obbligato le unità di Haftar e i reparti della Wagner a ripiegare su posizioni più sicure, questa volta all’altezza di Sirte. In questa maniera, il sogno russo di stabilire una forte e determinante presenza su suolo nordafricano è stato interrotto, costringendo Mosca a concentrare i propri interessi solamente nell’area orientale della Libia dove, in ogni caso, vi è comunque l’influenza di altre nazioni. 

Gli interessi arabi

In questo caso, però, si tratta di nazioni appartenenti alla Lega Araba: Egitto e Emirati Arabi Uniti. Il primo, in qualità di nazione confinante, ha numerosi interessi di interesse strategico ed energetico nel paese.

Il secondo, invece, ha abilmente sfruttato la crisi degli ultimi anni per esercitare un’influenza sempre maggiore sulle dinamiche nordafricane. Per quanto riguarda gli interessi egiziani, il discorso energetico è sempre di fondamentale importanza. Il governo di al-Sisi, infatti, non solo ha faticato a digerire – insieme alla Grecia, Cipro e altre nazioni mediterranee – l’accordo tra Ankara e Tripoli del 2019, ma anche si è reso conto della possibilità offerta dalla Libia come mercato d’esportazione. 

In qualità di grande produttore di energia elettrica, infatti, il Cairo vede la martoriata Libia come uno dei principali sbocchi esteri per le proprie forniture di energia in tempi presenti e futuri. 

Ma è proprio il futuro che attira, in particolare, l’attenzione dell’Egitto, che prevede di sfruttare a proprio favore la miliardaria ricostruzione della nazione, fatto esclusivamente possibile in seguito a numerosi accordi di pace tra le parti e al raggiungimento di un buon livello di stabilità. A parità di interessi, almeno per quanto riguarda il discorso sull’invitante ricostruzione, vi sono gli Emirati Arabi che, dopo aver inizialmente preso una posizione a favore di Haftar, si sono impegnati attivamente nei lunghi dialoghi politici tra le due capitali. 

Il lavoro di mediazione, alla fine, si è rivelato efficace, buttando forse le fondamenta per quella che potrebbe essere, nel giro di qualche decennio, la nuova Libia.

strutture petrolifere a El-Saharara
Strutture energetiche di El-Saharara, il principale bacino gasifero della Libia sud-occidentale

La sicurezza e il terrorismo

Probably failing to plan for, the day after, what I think was the right thing to do, in intervening in Libya.

Un altro grande interesse per le nazioni arabe confinanti, inoltre, è rappresentato dall’ambito della sicurezza. A causa dell’ampia disponibilità di armamenti ed esplosivi di ogni tipologia presenti nel paese, la Libia rappresenta grande fonte di preoccupazione per i vicini egiziani e tunisini.

In base ai rapporti d’intelligence egiziana, infatti, la gran parte delle armi impiegate dai gruppi terroristici nella penisola del Sinai provengono proprio dalla Libia. A farle giungere nelle mani sbagliate, in questo caso, sono stati i numerosi gruppi criminali presenti all’interno dei confini dell’ex colonia italiana, che attualmente controllano intere fette di territorio.

La stessa situazione, poi, si è verificata in Tunisia, anche se con un’intensità più ridotta. Il continuo aggravarsi delle tensioni e dell’incertezza economica hanno messo seriamente in allarme il governo di Tunisi, che si trova obbligato ormai ad impiegare sempre più risorse per il controllo dei propri confini. I gruppi criminali libici, però, non si occupano solamente del traffico di armi. 

Un’altra immensa fonte di reddito, in questo caso, è rappresentata dal traffico di esseri umani, che ormai affligge endemicamente gran parte del territorio fin dalla caduta di Gheddafi.

Le migrazioni: Italia in prima linea

Questa complessa dinamica, che unisce la disperazione dei singoli ad interessi di maggiore entità, ha portato seri sconvolgimenti sia nella regione nordafricana sia nella stessa Europa. Sulla sponda meridionale del Mediterraneo il fenomeno ha generato da un lato caos ed incertezza nelle regioni attraversate dalla tratta di uomini e nelle principali zone di imbarco. 

Sul continente europeo, invece, il fenomeno ha provocato serie tensioni interne ai paesi d’arrivo (vedasi Grecia, Italia e nazioni della “tratta balcanica”) e internazionali. A causa degli elevati flussi di immigrazione illegale e alla difficoltà europea nel trovare una soluzione unitaria sulla gestione e sul contrasto di esseri umani, i rapporti tra nazioni amiche e confinanti si sono spesso fatti aspri, se non al limite del conflittuale, proprio per l’incapacità di trovare una gestione comune al fenomeno. 

In aggiunta, va sempre considerato l’enorme costo che questo immenso fenomeno ha per le nazioni europee, soprattutto in fatto di risorse economiche, di impegno quotidiano e di ripercussioni sull’ambito della sicurezza. Per tale ragione, risulta assai semplice comprendere per quale ragione gli eventi e le dinamiche libiche risultino di fondamentale importanza per un numeroso gruppo di nazioni europee. 

L’Italia si trova in prima linea, essendo legata da immensi interessi di natura energetica, strategica ed economica. Lo stesso, alla fine, si potrebbe dire per la Francia, che è a lungo intervenuta nelle dinamiche interne fin dai primi scontri armati del 2011. 

Rotte migratorie
Rotte migratorie africane: tutte le strade portano in Italia

Un destino incerto

distribuzione delle risorse sul territorio
Le risorse energetiche libiche concentrate fra i bacini di Ghadames, Murzuq e della Sirte

In secondo piano, ma sempre per interessi in campo strategico ed energetico, vi è la Grecia che, sebbene si trovi ad una certa distanza dal paese arabo, è stata obbligata ad interessarsi alla materia per contrastare le mire espansionistiche mediterranee di quel vicino turco che, spesso, ha adottato politiche conflittuali nei confronti di Atene.

Ovviamente, oltre ai player principali menzionati in questa analisi, le vicende nordafricane riguardano da vicino un numero maggiore di nazioni appartenenti alle regioni subsahariane e al resto del mondo arabo, così come, indirettamente, coinvolgono tutto il resto dell’Europa centro-settentrionale, Gran Bretagna inclusa.

Al netto di ciò, è facile comprendere quale possa essere il destino della Libia nel giro dei prossimi decenni. La pace apparente, occasionalmente intervallata da scontri armati tra milizie e gruppi contrapposti, risulta essere una condizione essenziale per il perseguimento degli interessi strategici di numerosi paesi prossimi e confinanti.

D’altro canto, però, la riattivazione di un conflitto di larga scala tra est e ovest del paese rappresenterebbe un vantaggio strategico per quelle potenze che, al contrario, desiderano incrementare la propria influenza nell’area. 

Per tale motivo, è pressoché impossibile, al momento, arrivare ad una conclusione definitiva e certa. La strada per un futuro prospero e pacifico, infatti, si preannuncia ancora molto lunga e tortuosa e, a farla da padrona, saranno i grandi movimenti internazionali, ormai chiaramente destinati a modificare gli equilibri mondiali che abbiamo sempre conosciuto. Ora, dunque, non resta che attendere.

Andrea De Poli

Andrea De Poli

Classe 1996, si è laureato nel 2020 in Scienze Linguistiche presso l’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano, perfezionando, in seguito, gli studi in Affari Strategici presso la LUISS di Roma.
Ha lavorato in precedenza per il gruppo aziendale di famiglia, mentre ora ricopre il ruolo di analista per Menerva. Da sempre dedica una parte del proprio tempo libero allo studio dei principali conflitti armati, sociali e politici del Novecento e dei giorni nostri. Negli anni, ha destinato una particolare attenzione anche all’intero contesto sociale, politico ed economico del Medio Oriente, dell’Ucraina e dell’Africa Settentrionale. Nel 2021 ha pubblicato “Hezbollah: Storia, organizzazione
e dottrina del Partito di Dio”.

it_ITItaliano