Il termometro d’Asia: Pelosi a Taiwan

Una analisi postuma delle reazioni in Asia all’evento

Reazione a catena

La visita della speaker della Camera dei rappresentanti americana a Taiwan è stata la prima di alto profito in diversi decenni, scatenando le scontate reazioni indignate di Pechino.

Per non “perdere la faccia”, concetto centrale nella filosofia sociale cinese, soprattutto nei confronti della propria opinione pubblica nazionalista, dopo le reiterate minacce verso gesti simili, Pechino ha dovuto lanciare esercitazioni militari senza precedenti circondando l’isola con manovre aeree e navali congiunte.

Una ridda di dichiarazioni di condanna ha affollato le pagine dei media occidentali, ma dalla scena è mancata la reazione dei paesi dello stesso continente, direttamente implicati in una possibile crisi a Taiwan o nelle acque del Mar cinese meridionale.

In effetti, le reazioni in Asia sono state molto diverse rispetto all’Europa, anche, in alcuni casi, in maniera sorprendente.

I sostenitori di Taiwan

L’unico paese che nel continente ha espresso pubblicamente una forte condanna per la rappresaglia cinese alla visita di Nancy Pelosi è stato il Giappone, rivale regionale della Repubblica popolare, impegnato in una rapida e massiccia corsa al riarmo.

La leadership giapponese in più occasioni ha reiterato che un attacco a Taiwan sarebbe considerato un attacco al Giappone e le Forze di Autodifesa interverrebbero nel conflitto a fianco dell’esercito dell’isola e, presumibilmente, degli Stati Uniti.

La crescente interdipendenza con l’economia cinese non ha permesso a nessun altro governo del continente di utilizzare toni accesi di riprovazione verso le esercitazioni militari.

Una gradazione più attenuata del colore delle dichiarazioni, che si potrebbero accomunare dalla linea generica di “moderazione delle azioni unilaterali” senza menzionare la Cina, potrebbe comunque essere avvicinata a un limitato sostegno nei confronti della causa taiwanese

Dichiarazioni dal Giappone

(Il lancio di missili) ... è un serio problema per la sicurezza del nostro paese e del nostro popolo ... chiediamo un immediato arresto delle esercitazioni militari

Dichiarazioni dagli Emirati

Gli Emirati Arabi Uniti affermano il loro supporto per la sovranità della Cina e la sua integrità territoriale, come per l'importanza di rispettare il principio dell' "Unica Cina", richiamando l'aderenza alle risoluzioni delle Nazioni Unite. Gli Emirati Arabi richiamano la loro preoccupazione sull'impatto di ogni visita provocatoria sulla stabilità internazionale

Questa posizione proviene da tre paesi cui la Cina ha una marcata competizione geopolitica:

Sono posizioni moderate da diversi caveat, tanto è vero che quella di Singapore è stata ritrattata dopo un incontro con il Ministro degli Esteri cinese.

Lo stesso è avvenuto nel caso delle Filippine, che inizialmente avevano invitato le parti a contenere le tensioni e poi su richiamo dell’Ambasciatore cinese a Manila hanno ribadito l’aderenza alla “One China Policy”

I sostenitori della Repubblica popolare

Dopo l’intervento militare russo in Ucraina, la Repubblica popolare ha potuto capitalizzare il suo silente sostegno e l’ “amicizia senza limiti” dichiarata ai due capi di stato. La condanna come “provocazione” della visita di Nancy Pelosi circoscrive il perimetro dei possibili alleati, seppur senza trattati formali, della Repubblica  popolare in caso di operazione militare a Taiwan.

Primariamente questa quasi – alleanza vedrebbe il perno nel triangolo strategico fra Pechino, la Repubblica islamica iraniana e la Federazione russa, con i rispettivi stati “clienti”: la Siria (un condominio russo-iraniano, a seguito della ricollocazione delle forze russe in Ucraina), lo Yemen, la giunta militare birmana fortemente sostenuta da Pechino e la Corea del Nord.   

In questo scenario abbastanza definito emerge una sorpresa: gli Emirati Arabi Uniti. Storico partner e fondamentale paese di approvvigionamento petrolifero per i paesi occidentali, hanno espresso, in maniera inedita, una riprovazione diretta per la visita della speaker americana.

Vanno aggiunti a questa schiera di alleati i governi che hanno dichiarato un “supporto all’integrità territoriale della Cina” suddivisibili in due macrogruppi:

  • Kazakhstan, Uzbekistan, Tadjikistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Pakistan, sotto l’influenza russo-cinese e abbracciati dai progetti della cosiddetta Belt and Road Initiative, compreso l’Afghanistan talebano con cui Pechino intende siglare lucrosi contratti minerari
  • Laos, Cambogia nel Sud-est asiatico, con cui la Cina intrattiene rapporti dalla Guerra fredda.

In questo campo una sorpresa (ma non troppo) negativa per i difensori della causa taiwanese, arriva addirittura all’interno della NATO: la Turchia di Erdogan, che segnala di tenere in maggior conto l’enorme mercato cinese, della  difesa dell’etnia turcica uigura o della solidarietà con gli alleati occidentali.  

I Neutrali

Il resto dei paesi asiatici hanno scelto una posizione di assoluta neutralità, con un gruppo, gli stati della Penisola arabica, compresi quelli che ospitano basi americane che hanno preferito il silenzio, mentre un secondo gruppo del sud-est asiatico ha optato per dimostrare una generica “preoccupazione per l’aumento delle tensioni nello Stretto”, tra cui l’Indonesia e la Malaysia, stati costieri del Mar cinese meridionale.

La Corea del Sud, che pure ospita basi e sistemi missilistici per difendersi dal vicino settentrionale, ma intrattiene profonde relazioni economiche con la Repubblica popolare ha scelto una formula generica, esprimendo la necessità di dialogo e cooperazione.

La neutralità potrebbe essere considerato un punto a favore della Cina, anche in relazione ai tentativi americani di assemblare una coalizione il più ampia possibile che possa contrastare l’ascesa militare cinese.  

Cosa implica per uno scenario di conflitto?

Da questo scenario emerge che il peso dei rapporti economici cinesi influisce pesantemente sul posizionamento internazionale dei rispettivi governi, per cui la Repubblica popolare è un mercato per le proprie materie prime o i propri prodotti lavorati oppure un finanziatore di progetti infrastrutturali.

Analizzando queste dichiarazioni sembrerebbe che la difesa di Taiwan troverebbe solamente nel Giappone l’unico paese asiatico pronto a intervenire direttamente o supportare l’isola.

Gli altri paesi tendenti per motivi geopolitici a mantenere una posizione di supporto dovrebbero affrontare diverse criticità ad affrontare le conseguenze di una linea dura.

India e Vietnam sono state destinatarie nell’ultimo decennio di  ingenti investimenti diretti esteri cinesi mentre Singapore, a seguito delle vicende a Hong Kong, sta diventando la meta dei flussi di capitali in uscita dalla Repubblica popolare e cerca storicamente di mantenere un punto di equilibrio fra le due superpotenze.

Federazione Russa e Iran, già colpiti da massicce sanzioni occidentali, con contenziosi aperti e quindi difficilmente orientabili nel medio termine a una posizione meno schierata, potrebbero fornire un discreto supporto militare mentre i paesi petroliferi del Golfo potrebbero mantenere il flusso di petrolio.  

Uno strumento dell’eventuale dispositivo militare americano cioè la chiusura dei “chokepoints” alle navi di trasporto verso la Cina, che sarebbe ipotizzabile in caso di conflitto aperto fra Stati Uniti e Repubblica popolare, sembra che troverebbe qualche difficoltà nella scarsa collaborazione dei governi locali, sia nel Golfo Persico che nel Sud-est asiatico.

 

In un ipotetico e non auspicabile scenario di guerra, le forze congiunte del Giappone, degli Stati Uniti ed eventuali spedizioni navali europee mantengono ancora la supremazia tecnologica sulla Cina e sui possibili alleati, ma l’Ottocento è finito: nel calcolo dello scontro bisognerà tenere conto di che cosa pensa l’Asia.

Dichiarazioni dall'India

Come molti altri paesi, anche l'India è preoccupata dei recenti sviluppi. Ammoniamo all'esercizio della moderazione, a evitare azioni unilaterali che possano modificare lo status quo, alla de-escalation delle tensioni e agli sforzi per mantenere la pace e la stabilità nella regione

La voce di Menerva

La voce di Menerva

it_ITItaliano