L’articolo 9 della Costituzione vacilla: il Giappone dopo Abe si riarma

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Il riarmo giapponese

Pochi giorni dopo l’assassinio dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe si sono tenute le elezioni in Giappone e il partito il partito liberaldemocratico di Abe, ha ottenuto una vittoria schiacciante, sancendo la vittoria della sua politica principale: il riarmo giapponese.

Alcuni voti possono essere stati trascinati dal lutto per la morte di un politico eccellente, ma l’elezione è stata soprattutto un segnale del sentimento pubblico riguardo all’eredità principale dell’ex primo ministro: la vertiginosa crescita delle capacità militari del Giappone.

Il suo successore, Fumio Kishida, lungi dall’essere solo un grigio burocrate, sta gradualmente ripristinando lo status di superpotenza militare del Giappone, portando a compimento Il desiderio finale di Abe, cioè  la rottura de facto con la posizione pacifista del Paese nel secondo dopoguerra.

Per la storia giapponese è un tornante che riporta indietro le lancette a ottant’anni prima, quando l’Impero del Sol Levante schierava uno degli eserciti più potenti del mondo, all’avanguardia tecnologica dell’epoca. 

La neutralità giapponese è figlia della devastante sconfitta nella Seconda guerra mondiale suggellata dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki, che mise fine all’egemonia giapponese sull’Asia orientale.

Il Ministro degli Esteri giapponese Mamoru Shigemitsu sigla la resa a nome del governo imperiale giapponese a bordo dell'USS Missouri (BB-63), il 2 Settembre 1945.
Navi da guerra della flotta imperiale giapponese nel Pacifico

Per evitare velleità  revanchiste mentre gli Stati Uniti erano in competizione con l’Unione Sovietica per la supremazia globale, gli americani volevano che le capacità militari giapponesi fossero sotto il loro controllo e imposero il disarmo del paese attraverso l’inserimento dell’art.9 della costituzione giapponese del 1947, supervisionato dal comandante delle forze di occupazione, il Generale Douglas Mcarthur.

Facendo di danno una virtù, la politica giapponese post-bellica abbracciò la democrazia, abbandonando completamente ogni velleità egemonica e sublimando la perdita dell’impero con lo sviluppo economico.

Durante tutti gli anni della guerra fredda, soprattutto nei decenni dal ’50 al ’70, gli Stati Uniti, erano impegnati nel confronto globale con Mosca in molteplici scenari e con risultati altalenanti. 

La posizione geograstrategica del Giappone

Nonostante il teatro di battaglia principale fosse la “cortina di ferro” in Europa, la posizione del Giappone nel Pacifico continuava a essere cruciale anche dopo la fine della guerra, ma per un altro motivo.

I sovietici schieravano una forza navale massiccia nel Pacifico e Washington si trovò di fronte a un dilemma strategico: doveva evitare che il potere marittimo americano si disperdesse su troppi fronti mantendo però il focus nella sicurezza dell’Atlantico e dell’Europa, a cui non poteva sottrarre risorse.

Il porto di Vladivostok, sede della flotta sovietica del Pacifico, è di fronte alle isole giapponesi e le navi sovietiche non potevano navigare verso l’oceano, senza dover aggirare l’arcipelago.

Nei piani degli Stati Uniti, il Giappone, economicamente in crescita ma che non rappresentava più una minaccia, avrebbe protetto il fianco orientale del confronto con l’URSS.

Il governo di Tokyo usò le stesse armi retoriche che gli avevano fornito gli americani e si rifugiò in quell’articolo 9 scolpito dai vincitori della guerra nella costituzione giapponese.

Dopo i disastri della seconda guerra mondiale e una faticosa ricostruzione, i giapponesi erano riluttanti a investire ancora nella Marina o nell’Aeronautica militare, orientando tutte le risorse finanziarie nello sviluppo dell’elettronica e dell’industria automobilistica, che paradossalmente, grazie a innovativi metodi di lavoro e un senso di disciplina tutto nipponico, sfidavano in quegli anni l’industria  americana di stampo fordista.

Celebrazione della Costituzione nell'immediato dopoguerra

La costituzione pacifista

L'originale della Costitutuzione giapponese promulgata nel 1946 con il sigillo dell'Imperatore Showa

La Costituzione giapponese, dopo 75 anni, non ancora subito modifiche, ma l’interpretazione dell’articolo 9 è gradualmente diventata più flessibile. Il primo passo è stata compiuto nel 1954, quando sono state istituite le Forze di Autodifesa giapponesi.  

Ripristinare velocemente la forza militare giapponese si è reso necessario dopo che a inizio anni ’50 la prima crisi di Taiwan ha mostrato i rischi di un confronto nel Pacifico.

Alla fine degli anni ’70 fu stabilito il tetto di appena l’1% del PIL da poter stanziare per le Forze di autodifesa, come manifestazione concreta di quello che intendevano.  

Il Giappone si accontentava di appaltare la propria sicurezza agli americani, grazie a un trattato di sicurezza reciproca firmato dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Il trattato vincolava le forze armate americane avrebbero dovuto difendere l’integrità sovrana del Giappone in cambio della suddetta costituzione pacifista. In forza di questo accordo, gli Stati Uniti hanno stabilito più di 80 strutture militari nel paese, schierando più di 60.000 truppe, la maggior presenza a livello globale.  

Con il crollo dell’URSS, per un ventennio, l’Asia orientale è diventata una regione sostanzialmente pacificata. La relativa tranquillità ha permesso che diventasse la fabbrica del mondo e ha consentito l’ascesa del vicino e storico rivale del Giappone nella regione: la Cina.

Nell’ultimo decennio, l’impetuosa crescita economica della Cina, paragonabile alla parabola del Giappone negli anni ’80 e il rafforzamento della sua struttura militare, ha modificato l’architettura di sicurezza globale post-Guerra fredda poggiata sulla potenza americana.  

L'importanza di Shinzo Abe

Shinzo Abe, il primo ministro giapponese di più lungo corso nel secondo decennio del XXI secolo, in risposta o sfruttando queste circostanze, ha ottenuto il consenso per forzare la rigida interpretazione della costituzione, ammodernando le forze di autodifesa giapponesi e attuando una serie di riforme.

Consapevole del relativo declino dell’egemonia americana, ha operato perché diventasse operativo il formato QUAD, che riunisce le principali potenze contrarie all’espansionismo cinese, cioè oltre al Giappone stesso e agli Stati Uniti, anche Australia e India.  

In un ulteriore passo verso il ripristino della forza bellica giapponese, un’altra reinterpretazione flessibile dell’articolo 9, le forze di autodifesa giapponesi hanno iniziato a partecipare a manovre all’interno di questo framework multilaterale. Abe si è spinto fino al punto di rompere il tabù nucleare, sollevando la possibilità di stazionare armi nucleari statunitensi, con basi simili ai programmi di condivisione nucleare della NATO.

Queste evoluzioni sono state accolte con una ricezione controversa dall’opinione pubblica giapponese, dove è ancora vivo il ricordo dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e hanno contribuito ad alcune sconfitte elettorali del Partito liberal-democratico.

Shinzo Abe incontra Donald Trump alla Casa Bianca

I missili balistici intercontinentali non sono un problema ai sensi della Costituzione

Uno scenario di scambio nucleare nel Pacifico ha una scarsa probabilità e probabilmente la deterrenza delle forze convenzionali americane è sufficiente, ma Abe negli anni ha sondato l’opinione pubblica giapponese con idee sempre più estreme, ma sempre più appetibili tanto che il ricordo della guerra si allontana.

Il punto critico, che probabilmente sarà realizzato dal suo successore, è stato la battaglia per raddoppiare il budget per la difesa. Abe ha terminato la sua longeva carriera politica nel 2020 e dopo il breve mandato del primo ministro Suga è entrato in carica Fumyo Kishida, ex ministro degli Esteri nel gabinetto di Abe.

Le elezioni hanno dimostrato che Kishida gode di una larga fiducia presso l’opinione pubblica, anche se ha un carattere più dimesso rispetto all’illustre predecessore, ma persegue politiche nel suo solco. Proprio questa moderazione potrebbe essere la chiave per realizzare il sogno di Abe, di fronte a una opinione pubblica che, pur essendo sempre più consapevole delle crescenti minacce, non vuole che la transizione avvenga troppo bruscamente.

 
 

 

 

L'arcipelago minacciato

Il mare su cui si affaccia il Giappone è affollato di nemici.                 

Il pericolo più difficile da leggere, ma forse quello meno reale, è il programma nucleare e missilistico della Corea del Nord, necessario alla famiglia Kim per mantenere e avere una carta da giocare sui tavoli internazionali. Una minaccia probabilmente destinata a rimanere un bluff.

Un recente sondaggio condotto dal centro Yomiuri Shimbun ha rilevato che ben l’86% dei giapponesi percepisce un pericolo reale dalla Corea del Nord e il 64% dei giapponesi è favorevole a un programma di espansione delle capacità difensive del paese.  

La sfida strategica si combatte con Pechino. La politica di “riunificazione” di Taiwan alla Cina, la militarizzazione delle isole artificiali costruite nel Mar cinese meridionale e l’intervento a Hong Kong, stanno spingendo il Giappone ad accelerare il processo di rafforzamento militare.

Gli Stati Uniti condividono con il Giappone un comune nel neutralizzare le minacce provenienti dalla Corea del Nord e dalla Cina, tuttavia è una minaccia con un diverso livello di pericolosità.

Mentre per Stati Uniti, separati da un oceano, il quadrante dell’Asia pacifico è un tassello, sebbene fondamentale, di un potere  globale, ogni minaccia nella regione per i giapponesi è esistenziale.

Il quadro geopolitico odierno si proietterà nei decenni successivi, quando la Cina inevitabilmente sorpasserà gli Stati Uniti per dimensioni economiche.

Il disegno cinese, imposto dalla geografia regionale, prevede una neutralizzazione del Giappone attraverso un contro-accerchiamento militare che si estende dallo Sri Lanka alle Isole Salomone.

Raggio dei missili balistici nordcoreani

Il fronte di Taiwan

Isole Senkaku
Isole Senkaku/Diaoyu contese, possibile fronte della crisi di Taiwan

Cina e Giappone hanno un contenzioso diretto riguardante le isole Senkaku (o Diaoyu, come le chiamano i cinesi), situate a nord-ovest di Taiwan e strategiche per potenziali risorse naturali sottomarine e per il controllo del passaggio marittimo.

L’amministrazione Biden ha ribadito la posizione assunta dalle precedenti amministrazioni Trump e Obama di far rientrare le isole Senkaku del Giappone nell’articolo 5 del trattato di sicurezza bilaterale che consente automaticamente l’intervento militare statunitense in caso di aggressione cinese.

La situazione più critica però riguarda lo status di Taiwan. L’isola dista solo 110 chilometri dall’isola giapponese di Yunagunijima, dove i giapponesi hanno dispiegato sistemi Patriot di difesa aerea e 500 chilometri da Okinawa, che ospita un’imponente base militare statunitense con 26.000 marines.

Nel dicembre 2021 Abe aveva dichiarato che un attacco cinese a Taiwan avrebbe rappresentato una minaccia diretta per il Giappone e che il conflitto avrebbe trascinato il Giappone e gli Stati Uniti, un concetto recentemente ribadito dal segretario di gabinetto del primo ministro Koichiro Matsumoto.

Se per il resto del mondo una guerra a Taiwan potrebbe minare le forniture di semiconduttori, per il Giappone, economia specializzata in applicazioni elettronica e automobilistiche potrebbe essere un colpo esiziale per la sua industria manifatturiera.

Il controllo totale dello Stretto di Taiwan e del Mar cinese meridionale consentirebbe alla Cina di poter effettuare un blocco navale tale da strangolare l’arteria marittima che collega l’arcipelago ai pozzi di petrolio del Medio oriente e ai mercati europei attraverso l’Oceano indiano.

Il fronte pacifico della crisi ucraina

Il controllo totale dello Stretto di Taiwan e del Mar cinese meridionale consentirebbe alla Cina di poter effettuare un blocco navale tale da strangolare l’arteria marittima che collega l’arcipelago ai pozzi di petrolio del Medio oriente e ai mercati europei attraverso l’Oceano indiano.

Il Giappone si troverebbe di fronte a un blocco simile a quello dagli Stati Uniti prima dell’attacco a Pearl Harbour con l’unica via d’uscita nella rotta pacifica verso la California, a quel punto potenzialmente infestata da sottomarini cinesi, liberi di entrare in mare aperto dalle basi taiwanesi.

A questo scenario da incubo si aggiungono le dispute territoriali con la Federazione russa per i territori settentrionali, meglio conosciuti con il nome russo di isole Kuril.  La Russia, ancor più oggi che è assorbita dalle operazioni in Ucraina, è solo una minaccia teorica per il Giappone, di grado molto inferiore a Corea del Nord e alla Cina, ma potrebbe sincronizzare le sue azioni con le altre due minacce regionali.

Infatti, l’intervento russo in Ucraina è stata una scossa geopolitica che si è sentita con forza a migliaia di chilometri dall’epicentro degli eventi.  La sensibilità giapponese si è potuta misurare dall’energica reazione del paese, che stato uno dei primi e più energici Paesi a intraprendere autonomamente azioni concrete contro la Russia, congelando i beni della banca centrale russa, vietando l’esportazione di tecnologia di alto livello e togliendo lo status di Paese privilegiato per gli scambi commerciali.

Il gesto che ha cristallizzato il nuovo corso del primo ministro giapponese Fumio Kishida è stata la partecipazione, la prima della storia, di un leader giapponese a un vertice della NATO.

In quella occasione Kishida ha dichiarato che prenderà in considerazione ogni opzione per aumentare drasticamente le capacità di difesa del Giappone, compresa la capacità di colpire le basi nemiche, quindi squarciando l’ultimo paravento di non belligeranza ancorato all’articolo 9 della sua costituzione. 

“Sono determinato a rafforzare radicalmente le capacità di difesa del Giappone nei prossimi cinque anni e a garantire il significativo aumento del bilancio della difesa giapponese necessario per attuarlo"

La voce di Menerva

La voce di Menerva

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